Monte Tullen

Sulla vetta più alta delle Odle di Eores.
Un pezzo del sentiero GM, quello voluto da Reinhold Messner in memoria del fratello Gunther perso sul Nanga Parbat; bosco di abeti e larici il primo tratto e poi aperte praterie e ghiaioni, un facile tratto attrezzato alla fine del vallone scavato dalle pioggie e la scomoda salita in vetta tra roccette e ghiaie instabili; belle montagne, centrali al complesso delle Odle e per questo con dei panorami che non hanno uguali.


Ci rimaneva una “cartuccia da sparare”, la settimana dolomitica ci si è arrotolata addosso e stavamo già allo scorrere dei titoli, per giunta si veniva da una giornata piovosa, quella precedente, meno male che a volte la realtà è migliore delle speranze ed oggi ci è andata di lusso, cieli aperti e luce radente ci consegnavano a stretto giro il monte Tullen, la rispettabile meta di oggi che raggiunge 2653m. di altezza, e che con la sua posizione offre forse la vista migliore delle intere Odle. Siamo su quelle di Eores, il Putia si alza li vicino, la cordigliera delle Odle più famose, anche se più lontane, scorrono frontalmente verso Nord lasciando grandi spiragli anche alle contigue dolomiti di Puez. Volevamo percorrere un pezzo del GM, il sentiero che Reinhold Messner ha voluto aprire in memoria di suo fratello Gunther, perso nella tragedia del Nanga Parbat. Il GM è di fatto un anello intorno e sopra le Odle di Eores, tocca la vetta più alta del monte Tullen e attraverso piccoli tratti attrezzati, altri meno in cui occorre però molta esperienza, scorre su tutta la dorsale fino ad atterrare nei pressi del rifugio Genova, continua in direzione del Putia aggirando l’intera dosale per richiudersi nemmeno un chilometro sopra la partenza che si trova lungo la strada che da San Pietro sale al passo delle Erbe. Quota di partenza 1720 m. provenendo da San Pietro poche centinaia di metri prima dell’incrocio per la strada che scende per Eores/Bressanone, piccole aree di sosta danno parcheggio per un numero esiguo di auto, maggiore spazio per parcheggiare invece c’è sopra l’incrocio nei pressi dell’arrivo del sentiero (partenza e arrivo sono concetti opinabili, ovviamente la direzione può essere invertita anche se ritengo preferibile avere le Odle davanti e non alle spalle, motivo per cui ho deciso questo punto di partenza). Abbiamo rinunciato all’anello, non volevamo ingaggiare nessuna gara col tempo, abbiamo preferito prendercelo tutto e goderci gli ultimi panorami di questo angolo di paradiso. L’imbocco del sentiero è a lato della strada, sale subito repentinamente nel bosco di abeti e pini, le radici scoperte offrono nello stesso tempo scalinate naturali e frequenti inciampi; per un bel tratto non c’è verso che si ripiani, dominano il fiato corto ed un intenso profumo di resina, le pareti rocciose verticali poco lontane si intuiscono solo. Un’ora di salita ininterrotta prima di uscire dal bosco e raggiungere il piccolo traverso leggermente esposto su sentiero, quasi una cengia sabbiosa, che introduce il breve tratto attrezzato che supera uno stretto fosso e che risale l’evidente sperone che si para davanti. Superato questo tratto sconnesso sotto i roccioni della Lavina Bianca il sentiero prende ad aggirarla quasi in piano, subito dopo la salita attrezzata si incontra un cancelletto di legno che si richiude alle nostre spalle, a destra il versante scivola via ripido ma non incute ansia per via della folta vegetazione e dura poco, si entra in un basso bosco di abeti e larici, incontriamo delle sorgenti ai lati del sentiero da cui sono state ricavate fontane utilizzando tronchi di larice, l’acqua è buonissima manco a dirlo; si giunge sotto una sella erbosa poco lontana, un po' di salita e si iniziano a scoprire i più classici panorami della valle di Funes (+25 min.). Inutile dire che parlo delle Odle, viste da una angolazione ancora diversa e per questo sempre uniche e irrepetibili; i contrafforti della Lavina Bianca scendono ora meno ripidi, alternano torrioni bassi a pezzi di prateria, si perdono verso quote alte che anticipano le rocce dolomitiche. Più o meno in piano, con le Odle davanti e la val di Funes sotto continuiamo a girare intorno al sistema montuoso fino, senza accorgercene, ad imboccare un vallone erboso ampio che sale e si inoltra nel cuore della dorsale. Un sentiero comodo, per pochi tratti ripido, tanti tornanti a recuperare quota fino a che non si inoltra il un sistema di colline erbose e doline, scivola incassato mentre in alto sulla sinistra chiudono l’orizzonte le rocce della Lavina Bianca. Quando la traccia appiana si entra in una sorta di piccolo altopiano che introduce la serie di cime del Tullen, tra queste e quelle della Lavina Bianca una profonda sella interrompe la dorsale, dopo le cime del Tullen invece inizia un tratto più massiccio, meno roccioso o meglio un tratto misto roccia e prati molto complesso e articolato, il versante delle Eores che poi conduce attraverso una serie di sentieri esposti ma facili al rifugio Genova. Si sale e si scende all’interno di questo altopiano, la traccia molto delineata e suggestiva, taglia sotto le guglie della Lavina Bianca, si affaccia su piccole forcelle verso il passo delle Erbe e poi prende a tagliare in leggera salita e su ghiaioni ormai sotto la tonda cuspide rocciosa del Tullen; quando il traverso raggiunge delle praterie devia decisamente a sinistra e dopo poche svolte si divide, continuando si dirige verso un piccolo ghiaione al cui termine inizia la breve ferrata che salendo dentro un camino appoggiato fa prendere quota; per il Tullen invece si continua in salita, dentro una largo e appoggiato versante che termina su una ampia sella, molto slavato e scavato dallo scorrere dell’acqua il versante, la traccia a tratti è evidente a tratti si deve inventare, supera diversi fossi brecciosi fino ad incontrare di nuovo pietra ed inerpicarsi definitivamente verso la sella, in questo tratto una trentina di metri attrezzati da cavo aiutano la salita. Bella la vista dalla sella sul passo delle Erbe e soprattutto sul Putia che si erge come una piramide lì di fronte. Meno di cento metri dividono la sella dalla vetta del Tullen che si erge a sinistra, la salita è appoggiata ma è quasi priva di traccia, il terreno è ruvido, roccette, sabbia e sassi, molti gli appigli anche se quasi mai servono le mani, è un gioco di equilibrio salire e di scegliere l’appoggio giusto per i piedi e i bastoncini. Trenta metri sotto la croce si fa di nuovo marcata la traccia brecciosa che avvitandosi in tornanti scivolosi raggiunge la vetta (+1,50 in.), tanto panoramica quanto affollata. Stupendo colpo d’occhio a 360°, il monte Plose in direzione della Lavina Bianca, il Putia e sul versante opposto le Odle magnifiche più che mai, un panorama appagante, coinvolgente; ci sistemiamo un po' lontani dalla croce in legno sostenuta da quattro tiranti e ci godiamo a lungo il silenzio e lo spazio intorno. C’è vento, leggero e fresco ma tira, eppure non fa rumore, anzi è musica, anche i tanti giovani in vetta non fanno rumore, sentiamo solo felicità e gioia nelle loro grida, la montagna regala davvero tanto a chi sa viverla e apprezzarla. Più di mezz’ora in vetta, anticipiamo di poco la discesa del gruppone di ragazzi, se salire il tratto finale è stato complicato discenderlo è stato rognoso ma atterriamo facilmente sulla sella, stesse complicazioni nel continuare a scendere fino al sentiero, in ogni passo c’era il rischio di scivolare a causa del breccino, le ginocchia hanno ringraziato dopo aver imprecato mille volte. A ritroso per la stessa via, a cogliere di nuovo gli stessi dettagli e a cercare quelli che ci eravamo persi, luce diversa, più nubi e quindi più ombre, un motivo per ripetere le stesse foto dell’andata. Le guglie della Lavina Bianca, le terrazze erbose con vista Odle, e poi il bosco, le fontane che sgorgano direttamente dalla terra, il cancelletto e la discesa assicurata per atterrare nel bosco dei pini che ci consegnerà al parcheggio e che sancirà la fine dell’escursione (+2,45 ore) e della nostra troppo breve settimana sulle montagne rosa. Abbiamo chiuso la settimana con un altro sentiero molto vario e panoramico e con una bella cima sulla catena secondaria delle Odle, quella di Eores; centrali a questo comprensorio, è forse il modo giusto per chiudere, il modo giusto per sentirsele tutte addosso. Con un po' di gamba allenata tante altre escursioni ci sarebbero da fare, traversate e salite, tante altre malghe sarebbero da visitare. Chissà se ci sarà di nuovo occasione, proviamo a darci un arrivederci carissime e bellissime Odle?